AVALUNG

E' in arrivo sul mercato una recentissima invenzione che sicuramente avrà un grosso impatto sia sul pubblico generale (escursionisti invernali, scialpinisti, e snowboarders in particolare) che sui professionisti della neve.

Presentato al MIAS (mercato internazionale di abbigliamento sportivo) di gennaio, in anteprima italiana, questa nuova attrezzatura ha suscitato molto interesse. Così intelligente nella sua progettazione, così geniale nella sua semplicità, è il frutto di lunghi anni di ricerca e di test sul campo, mirato non solo ai professionisti della montagna ma soprattutto allo sportivo medio: un giubbotto che permette di respirare sotto la neve anche per lunghi periodi. Messo a punto dalla americana Black Diamond Equipment, una ditta conosciuta in tutto il mondo per la sua innovativa attrezzatura alpinistica, questo giubbotto è stato chiamato AvaLung (dall'inglese AVALANCHE=valanga e LUNG=polmone).

AvaLung consiste in un gilet leggero, impermeabile ed elasticizzato (per il massimo comfort) da indossare sopra tutti i vestiti; al suo interno, situato tra spalla sinistra e collo, c'è un tubo flessibile con boccale di plastica rigida da mettere in bocca e tenere fermo fra i denti, proprio come il boccaglio di una maschera da sub, prima di essere travolti dalla valanga. Una volta sotto la neve, si respira normalmente sfruttando una seria di tubi che dirigono l'aria all'interno del corsetto: una membrana speciale filtra l'aria fresca dalla neve davanti alla vittima per permetterle di respirare e una simile membrana espelle dietro la vittima l'aria espirata e carica di CO2, permettendo così una respirazione sicura tra una e tre ore a seconda delle condizioni di seppellimento.

 

Questa invenzione brevettato riduce significativamente gli effetti negativi che normalmente conducono al soffocamento. AvaLung è stato inventato dal medico americano Tom Crowley, un amante dell' "outdoor" e dello sci alpinismo, che nel 1993 sperimentò nel suo giardino innevato il prototipo che consisteva in un tubo di plastica con tanti buchi coperto da collant di nylon; Crowley ha così scoperto il segreto di respirare l'aria contenuta nella massa nevosa che ha dato vita al progetto. Circa un anno fa Crowley ha portato la sua invenzione alla Black Diamond Equipment che ha prodotto i primi prototipi testati e ridisegnati da Neil Beidleman, alpinista americano conosciuto per le sue numerosi ascensioni in Himalaia, che ne ha infine progettata la versione definitiva.

Sotto l'auspicio degli esperti delle organizzazione di montagna, ingegneri, medici e scienziati, sono stati condotti (e sono ancora in corso) rigorosi test sul campo con volontari seppelliti sotto dense masse di neve (simili ai detriti delle valanghe) per più di un'ora con monitoraggio delle funzioni vitali (pressione del sangue, livello di ossigeno nel sangue, ritmo cardiaco, respirazione, concentrazione di CO2 nell'aria espirata, ecc.) e tutti le funzioni sono rimaste entro livelli accettabili. Naturalmente il Black Diamond AvaLung non può impedire alle vittime di morire di trauma o ferite, ma grazie alla geniale invenzione si può "regalare" ai soccorritori professionisti e non, armati di ARVA, sonde e pale da neve, un margine di tempo significativo rispetto al drammatico "dopo 35 minuti... 30% di possibilità di sopravvivenza " per salvare una vita umana. Accanto ad un modello normale ne sarà disponibile uno, Pro Model, per i professionisti della neve: il giubbotto dovrebbe essere commercializzato in Italia verso la fine del 1999 con un costo intorno cinquecentomila lire. AvaLung AvaLung Pro Oggi le valanghe fanno circa 200 vittime all'anno: un tempo solo scialpinisti e alpinisti erano a rischio, ma con il grande pubblico sempre più presente in montagna d'inverno il numero di incidenti mortali purtroppo è destinato a crescere. Una delle categorie ad alto rischio è quella rappresentata dagli snowboarders: la neve immacolata fuori pista attira molte persone in cerca di emozioni forti e sono loro che devono essere maggiormente educati ed informati sui pericoli oggettivi invernali fra i quali la valanga è purtroppo al primo posto.

 

 

Ricordate sempre che il passaggio di un singolo sciatore o snowboarder incosciente non solo mette in pericolo la propria vita ma può provocare una valanga che piomba a valle travolgendo altri sciatori o escursionisti con terribili conseguenze.

 

da Tempo Medico n. 674 del 14 giugno 2000

Messo a punto un giubbotto per favorire la respirazione

Aria nuova sotto le valanghe

Una discesa fuori pista nel periodo sbagliato può costare cara: tra il 1998 e il 1999 sono state quasi 150 le morti causate da una valanga in Europa e circa una cinquantina in Nordamerica. Oltre che con le note raccomandazioni di attenzione e prudenza, come ridurre il tragico bilancio? Grazie all'ausilio di una riserva d'aria artificiale, costruita all'interno di un indumento da portare al di sopra della giacca a vento.

L'idea, scaturita dall'ingegno di un americano e studiata da un gruppo di ricercatori dell'Università dello Utah di Salt Lake City, nasce dall'analisi delle cause di morte quando si è sepolti da una valanga. "Nei tre quarti dei casi il decesso è provocato dall'asfissia" spiega Colin Grisson, della Divisione di pneumologia dell'Università della città statunitense e primo firmatario dello studio. "Sono invece pochissimi i casi di ipotermia fatale, mentre la restante quota di morti avviene in seguito a un trauma provocato dall'impatto con la massa nevosa". L'asfissia, a sua volta, è determinata da più fattori, tutti importanti e analizzati uno per uno prima di sottoporre al vaglio il nuovo congegno. "In primo luogo la stessa neve può ostruire le vie aree" spiega Grisson. "Poi la struttura della massa nevosa di una valanga, in pratica la sua densità, determina una notevole riduzione della quantità di aria disponibile: si calcola che dall'80-90 per cento della neve allo stato naturale, nella massa di una valanga l'aria scenda al 60 per cento.

Vi è poi il pericolo della compressione del torace da parte della neve compatta e, non ultimo, una sorta di terribile effetto maschera di ghiaccio, causato dall'umidità dell'aria espirata che, condensandosi e ghiacciandosi intorno al volto, provoca appunto uno strato isolante di ghiaccio, che impedisce il passaggio di nuova aria". Il dispositivo di riserva d'aria artificiale è in realtà molto semplice nella sua concezione: si tratta di una vera e propria sacca, dotata di valvole e tubi nonchè di un boccaglio, che permette di separare i flussi inspiratorio ed espiratorio, deviando e allontanando l'anidride carbonica espirata. Il ruolo dei ricercatori è stato quello di analizzare le variazioni dei parametri respiratori in una condizione artificiale, e quindi controllata, di sepoltura sotto la neve di otto volontari in due diverse condizioni: con l'ausilio della riserva d'aria artificiale oppure con la sola disponibilità di una sorta di sacca d'aria lasciata libera dalla neve, pari a circa 500 centimetri cubici.

I volontari, in posizione seduta e ricoperti da una massa nevosa di densità simile a quella delle valanghe naturali, sono stati sempre sotto stretto controllo, e potevano richiedere in qualsiasi momento di essere tirati fuori. La loro liberazione, in ogni caso, sarebbe avvenuta dopo un'ora, oppure al riscontro di una saturazione arteriosa di ossigeno inferiore all'84 per cento. "Uno dei parametri più importanti era il tempo di resistenza sotto la neve, dal momento che il tasso di sopravvivenza si riduce dal oltre il 90 al 30 per cento, a seconda che i soccorritori completino la loro opera in 15 o in 35 minuti" spiega l'esperto dello Utah. I risultati hanno confermato la validità del dispositivo. Quando i volontari ne hanno usufruito, infatti, il loro tempo di resistenza sotto la neve è stato quasi di un'ora, contro i dieci minuti di quando non l'avevano a disposizione. Allo stesso tempo, anche tutti gli altri parametri osservati hanno fatto registrare valori migliori in chi disponeva della riserva d'aria artificiale: saturazione arteriosa di ossigeno, pressioni parziali di CO2, frequenza respiratoria e cardiaca sono rimaste sostanzialmente immodificate nel gruppo agevolato, mentre sono molto aumentate nel gruppo di controllo.

Il malcapitato sepolto da una slavina, in sostanza, avrebbe in tal modo un'autonomia respiratoria più duratura in attesa dei soccorsi, anche se sarebbe più esposto ai rischi dell'ipotermia, dal momento che la temperatura corporea scende in queste condizioni di circa tre gradi centigradi all'ora. "Si tratta di uno studio unico, preliminare, che offre importanti informazioni sulle dinamiche dell'ossigenazione e della ventilazione in un soggetto sepolto dalla neve" commentano Phil Fontanarossa e Drummond Rennie, editorialisti di JAMA, sulle cui pagine è stata pubblicata la ricerca americana. "Esistono alcuni fattori limitanti, dal momento che si tratta di una condizione artificiale e controllata, ove per definizione non esistono i traumi, il panico e tutta una serie di eventi negativi che si sommano al pericolo dell'asfissia in una simile tragedia".

Il commento non si esaurisce con queste cautele ovvie, peraltro riconosciute e anticipate dagli stessi autori. I due editorialisti sottolineano, infatti, il rischio che tali pubblicazioni possano in realtà divenire veicoli pubblicitari. Benché debitamente segnalato, uno dei firmatari dello studio è l'inventore del dispositivo, un altro ha a che fare con la sua produzione e tutta la ricerca è stata sovvenzionata dall'azienda produttrice. "Tenendo ciò bene a mente, e avuta la certezza che il nome della rivista non comparirà mai in alcun riferimento pubblicitario dell'apparecchiatura, ci congratuliamo con Grisson e con i suoi collaboratori, che hanno avuto l'idea originale e la perseveranza di produrre un congegno forse in grado salvare vite umane, nonché di averne iniziato un processo di valutazione scientifico".

Donatella Gambini fonte: P. Fontanarossa e D. Rennie. Avalanches, air pockets and advertisements. JAMA 2000; 283: 2293-2294. C. Grisson e altri. Respiration during snow burial using an artificial air pocket. JAMA 2000; 283: 2266-2271.