LA LEGGENDA DEL LAGO SANTO

Due secoli fa viveva ancora nei boschi che attorniano folti il Lago Santo qualche bestia feroce. In mezzo a volpi, a faine, a tassi che si mostravano numerosi, appariva ancora qualche lupo. D'inverno, quando la neve scendeva a coprire il suolo, la fame, fattasi acuta, spingeva le fiere ad uscire dalle loro tane e a cercare negli ovili una pecora, un agnello, un coniglio. In quell'inverno del 1801 era un vecchio lupo il predatore più vorace e più astuto. Già più di una pecora e parecchi agnelli erano mancati ai pastori.

Invano erano state poste le trappole nei passaggi obbligati e nei sentieri vicini alle case. Le orme lasciate sulla neve indicavano la venuta del lupo vorace e il suo ritorno nella tana del monte Giovo. Qua e là sulla neve erano chiazze di sangue che le vittime ferite o sgozzate avevano disseminato. Una Domenica Ulisse disse a Tonio: "Vieni con me. Non ritorneremo a casa se non con la pelle del lupo ucciso da noi". Tonio accettò. Così i due giovani partirono alla ricerca della fiera, seguendone sulla neve le recenti tracce. Arrivarono alla distesa ghiacciata del lago e lì, ai piedi del Monte Giovo, immobili, attesero che il lupo uscisse dalla sua tana che era certamente nel bosco lì vicino. Da lì, innanzi a loro, il lupo sarebbe immancabilmente passato.

Quella mattina però sembrava che la fiera non avesse voglia di lasciare il suo caldo nascondiglio. I due montanari passarono ore ed ore di ansiosa attesa. Ma ad un tratto si udì risuonare nel silenzio assoluto e misterioso dei monti una campana: era la campana del mezzogiorno che faceva udire i suoi lenti rintocchi chiamando tutti alla messa. A quel suono Tonio si scosse, uscì dal nascondiglio e disse ad Ulisse che sarebbe andato in chiesa così come faceva ogni domenica. Ulisse lo guardò con meraviglia, quasi con scherno, e rispose a Tonio che egli sarebbe rimasto solo ad attendere il lupo, per ucciderlo, scuoiarlo e riportarne a casa in trionfo la pelle. Non era passato molto tempo da quando Tonio era partito che l'animale, uscendo dal folto del bosco, apparve allo scoperto e cautamente, pigramente muovendo il capo e annusando la fredda aria dell'inverno, avanzò sulla bianca distesa ghiacciata del lago. Ulisse pronto, prese la mira e sparò. L'eco dello sparo risuonò cupo e lungo nel silenzio della valle. Fu con un balzo vicino al lupo steso sulla neve e con un secondo colpo al cranio finì la bestia che rantolava. Ulisse ora era veramente felice. Tanto più che la gloria sarebbe stata tutta sua, di ritorno al paese. Chinatosi sull'animale, con un ginocchio appoggiato sulla neve, estrasse da una tasca il lungo coltello a serramanico e cominciò a scuoiarlo.

Il sangue caldo del lupo, uscendo gorgogliando e a fiotti, scorreva a rivoli sulla neve, sciogliendola. Ulisse aveva quasi portata a termine l'opera quando udì uno strano rumore vicino a sé., come di vetro che si rompe. Ed ecco, orribile a dirsi, il ghiaccio del lago si aprì, spezzandosi. Ulisse si vide perduto, lanciò un urlo disperato e scomparve in un istante in compagnia del lupo nelle acque gelide del lago. Poi tutto tornò quiete e silenzio. Tonio, ascoltata la messa, ritornò da Ulisse come aveva promesso. Ma scorse sul lago una larga chiazza di sangue e sentì poco distante gorgogliare l'acqua. Si mise le mani nei capelli, spalancò gli occhi: aveva capito tutto. Di corsa rifece la strada e raccontò terrorizzato l'accaduto in paese. Gli increduli andarono fino al lago a vedere e rimasero muti d'orrore. In primavera, scomparsa la neve e scioltosi il ghiaccio, il lago ributtò a riva, un giorno, il corpo del lupo: tutto il paese corse a vederlo. La carogna giaceva inerte tra i sassi. Di Ulisse però nessuna traccia.

Neppure altri rigurgiti del lago lo riportarono a riva. Si pensò che giacesse in fondo alle acque, impigliato negli sterpi. Ulisse non tornò mai più alla luce. Ma da quel giorno le acque del lago fino allora quiete, non si sa perché, si agitarono. A volte traboccavano sinistramente e scendevano fino a valle a danneggiare le case, gli ovili, i prati, con spavento degli uomini e delle greggi. Il Pievano un giorno, dopo aver seriamente riflettuto su quel fenomeno inconsueto, pensò di benedire le acque e di fissarle per sempre nel loro letto, rifatte quiete come un tempo. Il mattino dopo tutti erano in processione verso il lago. Giunto alla riva il Pievano, con volto compunto ed imperioso disse gli scongiuri, leggendoli dal vecchio libro unto che aveva portato con sé e asperse con l'acqua santa a lungo, più volte e con larghi gesti del braccio, le acque del lago. Finito il rito tutti ritornarono alle loro case. Da allora le acque non rumoreggiarono e non strariparono mai più. Furono immobili, quasi come le montagne che le attorniavano. Da quel giorno di benedizione il lago divenne "santo", ed è ancora il Lago Santo.

Fonte: F.Richeldi, Novelle del monte e racconti dal vero, Modena 1976.