IL PIANETA CHE SI TRASFORMA SE TUTTO IL DESERTO DI GELO SI SQUAGLIASSE I MARI SALIREBBERO DI BEN 7 METRI, SOMMERGENDO GRAN PARTE DELLA TERRAFERMA

Groenlandia: una terra che scotta

3/9/2006

di Gaelle Dupont

ANGMAGSSALIK. Il paesaggio trae in inganno. Ai bordi della calotta di ghiacci della Groenlandia, tutto sembra perfettamente immobile. Dovunque si posa lo sguardo, non trova che pietre e ghiaccio. Dov’è il cielo? Dov’è la terra? Dov’è il mare?
Groenlandia
In questo scenario smisurato, i riferimenti abituali si perdono. A ovest, un deserto abbagliante di neve si stende fino all’orizzonte. A est, un gigantesco fiume pietrificato, il Helheimgletscher, scende verso un fiordo, stretto tra due alte montagne. Il ghiaccio, all’apparenza liscio, si torce e si spacca man mano che ci si avvicina al mare, dove i grandi iceberg vengono imprigionati dalla banchisa. L’acqua del fiordo non si vede. Ghiaccio di acqua dolce e di acqua di mare si mischiano formando sulla superficie uno spesso strato bianco venato di strisce.

Nulla mostra il fantastico movimento in corso, impercettibile. La calotta di ghiaccio sta cedendo. Si sta sciogliendo. Tendendo l’orecchio si percepisce un suono simile a quello di un grosso torrente di montagna: è l’acqua che scorre sotto il ghiacciaio. Ogni anno da qui 12 chilometri cubici di ghiaccio prendono la via del mare: «E’ l’equivalente di 150 campi di calcio, uno accanto all’altro, su un chilometro in altezza», fa un rapido calcolo l’oceanografo Ralph Rayner. Il Helheimgletscher è uno dei ghiacciai più grandi del mondo, ed è anche quello che si sta sciogliendo più rapidamente.

«L’avanzata dei ghiacciai verso il mare è in corso da centinaia di migliaia di anni», dice Rayner, «ma la perdita di ghiaccio ai margini veniva finora compensata dalla neve che si depositava sulla calotta. Oggi il cedimento accelera. Questo ghiacciaio avanza di 6 chilometri all’anno, tre volte più veloce che dieci anni fa». Contemporaneamente, il fronte del ghiacciaio - il punto dove il ghiaccio comincia a veleggiare verso il mare - si ritira di un chilometro all’anno, mentre il suo spessore si è dimezzato.

E’ colpa dell’uomo
Il riscaldamento è più sensibile ai poli rispetto alle regioni temperate. Dall’inizio del XX secolo qui è stato misurato un aumento medio di 2°C, rispetto allo 0,6°C della media globale. E nei prossimi 50 anni nell’Artico è previsto un aumento di 3-4°C. In più, l’acqua dalla superficie si infiltra nelle crepe del ghiaccio, alimentando il suolo roccioso e accelerando il fenomeno. «Non abbiamo ancora tutti i pezzi del puzzle, ma sappiamo che è qui che il processo ha preso maggiore velocità», afferma Ralph Rayner: «Questo luogo ci avverte chiaramente che le cose non stanno andando come dovrebbero».

La Groenlandia è sotto sorveglianza. L’isola del Nord, grande come l’Australia, è ricoperta per l’85% dal ghiaccio. Lo spessore della calotta raggiunge più di 3 chilometri. I 3 milioni di chilometri cubici di ghiaccio sulla superficie sono talmente pesanti da aver fatto sprofondare il suolo roccioso dell’isola sotto il livello del mare. I recenti studi dicono che ogni anno la calotta perde circa 220 chilometri cubici di ghiaccio, che contriubuiscono all’innalzamento del livello dell’oceano di 0,6 millimetri ogni anno. Se tutta la calotta si sciogliesse, gli oceani del globo salirebbero di 7 metri: «Parecchie grandi città si troverebbero sott’acqua, ma immagino che gli esseri umani scapperebbero verso l’interno», sorride Rayner. Il processo infatti impiegherà centinaia di anni: «Oggi concordiamo che lo scioglimento sia inevitabile. La domanda è: quando? Dipenderà dai ritmi del riscaldamento, dall’attività umana».

Ma non è finita. L’arrivo di grandi quantità di acqua dolce nel mare rischia di portare perturbazioni alla Corrente del Golfo, che porta acqua calda alle coste europee. Senza di essa, la temperatura scenderà di 7°C.

Fucili, birra e foche
La popolazione vive il cambiamento climatico sulla propria pelle. Angmagssalik, la principale comunità della costa est, ha qualche migliaio di abitanti. Il record di tutti i tempi è stato registrato il 13 luglio 2005: «Facevano 25,3°C, la gente aveva così caldo che per tutto il giorno non faceva che cercare l’ombra», ricorda il medico locale Hans Christian Florian. Il paese, appena sotto il Circolo polare, si arrampica sulle rive di uno degli innumerevoli fiordi. Assomiglia ad altri villaggi nordici, un agglomerato di casette di legno gialle, rosse, verdi e blu, in giro ragazzi in jeans e scarpe da basket. Ma basta una visita al supermercato per scoprire che è un posto speciale: sugli scaffali ci sono i fucili da caccia, per comparli basta aver compiuto 14 anni. E’ un paese di cacciatori: di foche, narvali, orsi, orche bianche, trichechi. Per molti è ancora un mestiere, per tutti un passatempo e una fonte di entrate supplementari. Accanto ai fucili nel negozio sono ammassati i sacchi con cibo per cani da slitta. Le mute, costrette all’inattività dal disgelo, sono legate un po’ dapertutto nel villaggio, e ululano la loro noia al sole notturno.

Tutti i prodotti vengono importati dalla Danimarca, dalla quale la Groenlandia dipende tuttora, nonostante un parlamento autonomo. La prima nave con i viveri arriva in luglio, quando la banchisa si apre permettendo il passaggio. E’ un grande evento, celebrato con tre colpi di cannone. La cerimonia viene ripetuta alla partenza dell’ultima nave, a fine settembre. Dopo, Angmagssalik ripiomba nell’isolamento per nove mesi, quando è raggiungibile solo con l’aereo o con l’elicottero.

Al supermercato, è impossibile non accorgersi anche delle piramidi di lattine di birra. Fuori, nel villaggio, coprono le strade come un tappeto. «Anche se non riguarda la maggioranza della popolazione, l’alcolismo è un vero problema», commenta Hans Christian Florian. Lo testimonia una nonnina che si sposta a quattro zampe sull’erba ingiallita, nell’indifferenza generale. Un’altra piaga è il tasso dei suicidi, quattro volte più alto che in Danimarca. «Non abbiamo più fame!»

In poco più di un secolo gli abitanti di Angmagssalik sono passati dalla vita di cacciatori-raccoglitori alla civiltà digitale. Nel 1884, i 413 Inuit scoperti dal pastore Gustav Holm vivevano in completa autosufficienza. Erano dei «sopravvissuti della preistoria», ha scritto Paul-Emile Victor dopo essere vissuto qui per due anni negli anni ‘30. L’etnologo ha descritto una «civiltà della foca», della quale veniva utilizzato ogni più piccolo pezzo di carne, grasso, pelle e ossa. «Sila naalagaavok», il tempo è maestro, dice un assioma Inuit. Karl Pivat, cacciatore di 73 anni, il dito puntato sulla mappa, racconta gli sconvolgimenti portati dal clima: «Prima, c’era molta più neve e ghiaccio, oggi i ghiacci si ritirano e la banchisa si sta assottigliando». Se la prende con i Paesi ricchi e i loro gas serra? «Per Karl è una domanda senza senso», spiega Anders Stenbakken, il direttore dell’ufficio per il turismo che ci fa da interprete. «Lui non cerca una causa. Constata il cambiamento e vi si adatta. La maggior parte dei groenlandesi temono il riscaldamento molto meno degli occidentali. Sanno che l’uomo è vulnerabile di fronte alla natura, fa parte della loro esperienza». Il vecchio cacciatore trova nel cambiamento qualcosa di buono: ci racconta che negli ultimi dieci anni i ghiacci si sciolgono più rapidamente, la navigazione si è allungata di un mese e le estati sono più calde. Chi potrebbe lamentarsi di «fiori più alti e più numerosi», e di poter «cacciare più a lungo la foca con la barca»? Il vecchio ha visto altri tempi. E’ nato in una casa di pietra e torba, dove le fessure venivano tappate con budella di foca. La madre gli raccontava storie del mondo antico, di eroiche battute di caccia, di lunghe feste e morti violente. Suo padre cacciava con il kayak, e con l’arpione. Con gli anni sono arrivati «i fucili, la radio, i canotti a motore». «Abbiamo i confort, la televisione. Non sappiamo più cosa sia la fame!» Dopo tutti questi cambiamenti rivoluzionari, qualche grado in più non può impressionare più di tanto.

La ritirata degli orsi
Dines Mikaelsen è più preoccupato degli anziani. E’ nato 29 anni fa a Isertoq, un insediamento tra i più poveri, dove pezzi di carne e grasso di foca sono sparsi per terra intorno a capanne fatiscenti, e i pesci vengono appesi a seccare alle finestre serrate. Dines va a caccia, come suo padre prima di lui: «Da quando ho smesso di poppare», sorride. Grande conoscitore della regione, Dines vede i cambiamenti nelle rotte di migrazione degli uccelli. Vede l’orso polare fuggire verso nord. L’animale vive sulla banchisa, ma la superfice ghiacciata del mare diminuisce del 3% in un decennio e l’orso si fa sempre più raro. Seppure protetto dalle quote di caccia, resta la preda preferita, e la sua spartizione segue ancora regole ancestrali: la pelliccia e la testa a colui che per primo ha avvistato l’animale, la carne divisa tra l’uomo che l’ha ucciso e la sua famiglia, in senso esteso. Denis porta anche una notizia rassicurante, «il comportamento delle foche per ora non è mutato».

«Ora guadagneremo di più»
Gli «effetti negativi del cambiamento climatico, come gli uragani», vengono menzionati da Andersine Hansen-Kristianses Siumut, giovane deputata del consiglio municipale e vicesindaco. Ma per lei riguardano «altre parti del mondo»: «Qui, la riduzione della banchisa ci ha dato più giorni di pesca e ci permetterà di guadagnare di più». Thomas Kristensen Atassut, rappresentante cittadino presso il parlamento autonomo della Groenlandia, menziona un altro dato fondamentale: nella regione è arrivato il merluzzo, e con lui la possibilità di sviluppo. Ad Angmagssalik i tre quarti dei lavoratori dipendono dall’amministrazione e il prezzo della pelle di foca, in caduta libera dopo le campagne degli ambientalisti, viene sostenuto solo grazie a sovvenzioni.

«Quando il ghiaccio si ritira, è come se si levasse un coperchio, lo spazio che si libera viene riempito dalla vita», spiega Jacqueline McGlade, direttrice dell’Agenzia europea per l’ambiente. «In 5-10 anni nascerà un nuovo ecosistema marino, e si tratta di dargli il tempo di svilupparsi. E’ necessaria una moratoria di almeno 5 anni. Spero che gli abitanti locali non saranno vittime dei cambiamenti climatici. Ne hanno viste tante. Sanno come sopravvivere».