La salita al Pizzo 3 Vescovi si era conclusa con lo scioglimento della Compagnia dell’Agnello, col senno di poi, forse sarebbe stato meglio se non si fosse riconvocata e invece, con Fausto, Enrico R, Marina e Sandro, il sabato successivo, alle 4 .00 di mattina, ci ritroviamo al casello, per il Grande Imbuto del Monte Vettore. Alle 7.30 da Forca di Presta iniziamo, sci in spalle, a salire verso il Vettore. E’ una bella mattina, abbastanza fredda e ventosa. Alle 9.40 siamo in cima dove ci raggiungono Andrea, Enrico M e Fabio che hanno risalito l’Imbuto. Intorno alle 10.00 iniziamo la discesa, la neve è ancora dura, altre volte avrei detto fantastica, sciare è veramente divertente. Intorno alle 10.20 siamo già circa a quota 1550 m dove la neve finisce. La giornata è bella, di certo non è particolarmente calda, siamo contenti, si scherza, siamo abbastanza tranquilli anche se ora ci attende la discesa dei 150 m dell’Imbuto. Rimettiamo gli sci in spalla e affrontiamo il primo tratto pendente del canale, è innevato, ma la neve è, anche qui, complessivamente solida e il nostro transito non provoca alcuna conseguenza. Ora c’è un tratto più dolce a cui segue il secondo e sostanzialmente ultimo, con pendenza più accentuata. E’ privo di neve e alterna terra a piccoli salti di roccia. Sandro e Fabio sono davanti, seguo io e dietro tutti gli altri. Siamo circa a metà, sto affrontando un saltino con rocce affioranti quando, agghiacciante, risuona l’urlo, ripetuto due volte, “La Valanga, La Valanga!!”. Sappiamo che il rischio è inevitabile, ma pensiamo di essere preparati, forse quasi invulnerabili, sento ancora quell’urlo e mi si gela tuttora il sangue, un urlo e ti rendi conto di quanto tu sia indifeso. Non mi volto neanche indietro, da una parte c’è il bosco di faggi, dall’altra la roccia, subito sotto di me il canale allarga leggermente e la parete di roccia presenta una piccola cengia riparata da uno strapiombo, in un attimo mi butto, cerco di appiattirmi contro la parete, aggrappandomi agli appigli disponibili. Arriva la scarica, il fronte della valanga passa e non mi impatta, sono fortunato penso, ma poi sono travolto, direi risucchiato dal vortice d’aria, di neve e di sassi e mi trovo, fortunatamente a testa in su, come in un enorme polveroso toboga. Scivolo, urto, lo zaino con gli sci fanno forse, come da slittino proteggendomi la schiena, cerco di difendermi il volto dai colpi, di restare reattivo, mantenendo l’orientamento senza farmi sopraffare dalla paura, dopo ogni botta spero sia finita, di fermarmi e invece continuo la discesa. Finalmente mi arresto, sono ancora a testa in su, vedo l’azzurro del cielo, ma arriva un altro, per fortuna ultimo, colpo alle spalle che mi gira e mi sommerge totalmente il braccio sinistro. Provo a muovermi, sono ancora sostanzialmente integro, sento Marina che urla per il dolore, ma non la voce degli altri. Cerco di non farmi prendere dal terrore e tento di liberarmi, ma riesco a muovere il solo braccio destro. Ora gli sci, sono realmente un ostacolo, sono sommersi dalla neve e mi inchiodano a terra. Con la mano provo a farmi spazio e dopo qualche tentativo riesco dapprima a slacciare la cintura, che mi teine fissato in vita lo zaino, e poi quelle che bloccano lateralmente gli sci allo zaino. Mi resta solo il cinturino che stringe sul petto lo zaino, riesco ad aprire anche quello, c’è il braccio sinistro ancora bloccato sotto di me, mi contorco, l’adrenalina moltiplica le forze e finalmente mi libero dalla morsa della neve. Riesco a mettermi seduto, mi giro in alto, vedo Sandro che, evitata la scarica, sta facendo l’appello. A pochi metri da me c’è Marina, semi sommersa dalla neve, che continua a lamentarsi per il dolore alla schiena e implora di essere aiutata e Andrea, in piedi, dolorante e sanguinante da un orecchio. Mi rendo conto di essere sostanzialmente illeso e penso che anche oggi “Qualcuno”, lassù mi abbia protetto. Con le mani libero una gamba e i piedi e mi alzo, raggiungo Marina e le slaccio lo zaino, arriva anche Sandro, ha completato l’appello tutti gli altri sono incolumi e, mentre ci raggiungono, con la pala, le liberiamo le gambe. Siamo di nuovo tutti insieme e nulla di realmente irreparabile è successo!!. Fabio ha già allertato il 118. Andrea è silenzioso, molto sofferente, con una garza si tampona l’orecchio. Marina continua a lamentarsi per il dolore alla schiena, siamo allo scoperto rispetto ad eventuali ulteriori scariche e forse sarebbe meglio spostarla, ma decidiamo di non muoverla e attendere i soccorsi. Così aspettiamo l’elicottero cercando di alleviare, per quanto possibile il dolore dei feriti, io che, dei tre coinvolti, sono quello che sta meglio, mi sposto in un luogo da cui posso controllare la parte alta del canale e dare eventualmente l’allarme. Finalmente dopo quasi un’ora, avevamo comunicato le coordinate del GPS, ma per un qualche disguido ci cercavano più in alto e in altri posti, l’elicottero ci individua, viene recuperato prima Andrea, che non necessita di particolari precauzioni per il trasporto e poi, dopo averla immobilizzata, Marina. Solo di vedetta, mentre assisto alle operazioni di recupero dei feriti, libero la tanta paura e tensione accumulata e scoppio a piangere. Dopo circa due ore dalla scarica le operazioni di soccorso terminano e l’elicottero riparte, Andrea viene portato all’ospedale di Ascoli, Marina a quello dell’Aquila, io ho solo qualche escoriazione e delle contusioni e rifiuto il ricovero. Siamo stati avventati? Non lo so, non credo. L’itinerario è annoverato tra i più impegnativi del gruppo, proprio per l’ambiente selvaggio e il forte rischio di valanghe, ma per evitare il caldo, eravamo partiti presto e il manto appariva sufficientemente consolidato, anche nell’ultima lingua di neve che avevamo attraversato poco prima della scarica. La valanga non è partita al nostro passaggio, è arrivata a così gran velocità, improvvisa e silenziosa, staccandosi da un punto in cui noi non eravamo transitati, se qualcuno non l’avesse vista scendere, probabilmente questa brutta avventura si sarebbe trasformata in qualcosa di ben più pesante. Per quello che poteva succedere ci è andata bene. Non è la prima volta che Qualcuno mi prende per mano, non so per quali meriti, ma deve volermi un gran bene, dicono sia molto paziente, speriamo di non aver esaurito il bonus. E’ presto per dire cosa ci resta, i giorni trascorsi sono ancora troppo pochi, i fatti, i volti, le emozioni bollono ancora nella mente, rimane, però la coscienza che dobbiamo rispetto alla Montagna, perché lo dobbiamo alla nostra Vita. Sì, nonostante l’ARVA, la pala, la sonda, il casco e tutte le altre possibili precauzioni, può capitare, anche nella quotidianità di una nostra giornata, indipendentemente dal luogo, dalle condizioni e dalle situazioni, che Qualcosa o Qualcuno, che è tanto più grande di noi, la Natura, il Destino, il Fato, l’Imponderabile, chiamatelo come volete, possa essere lì, all’improvviso, in un tranquillo sabato mattina di maggio, ad incrociare il nostro cammino. E lì dove drammaticamente scopri d’essere nudo, viene fuori, nel bene e nel male, la verità e l’umanità delle persone. Lì nella capacità di reagire, nella solidarietà dimostrata ho ammirato la parte migliore dei miei compagni. Non è una piccola consolazione!!