L'effetto a lungo termine è un gradiente termico nel manto nevoso, che è una grandezza vettoriale caratterizzata sia da dimensione che da direzione. La dimensione del gradiente termico viene definita come variazione termica deltaT divisa per la distanza deltaX lungo la quale la temperatura varia. Per convenzione la direzione del gradiente termico segue la direzione dell'incremento di temperatura (di solito verso il basso ma a volte lateralmente nel manto nevoso). Nell'unità di misurazione metrica il gradiente termico viene espresso in gradi centigradi/metro. Quando il gradiente è ovunque pari a 0°C/m, il manto nevoso è isotermico.
Questo si verifica soltanto con una temperatura uniforme di 0°C, il che implica un manto uniformemente bagnato. In generale le temperature e i gradienti termici nel manto nevoso variano in funzione del regime climatico. In un clima marittimo le temperature sono solitamente miti e il manto presenta spessori piuttosto elevati. Questi due fattori intervengono per creare bassi gradienti termici ed elevate temperature della neve. Nei climi continentali il manto nevoso poco profondo e le basse temperature creano forti gradienti termici e temperature della neve molto basse. In queste due situazioni i cristalli che si formano sono diversi tra di loro, e questo comporta notevoli effetti sulla natura generale e i tempi di formazione delle valanghe. In generale il manto nevoso con clima marittimo è caratterizzato da neve relativamente stabile e vi sono maggiori probabilità di avere valanghe di neve fresca. Il manto con clima continentale è di solito piuttosto fragile, e spesso negli strati di neve più vecchia presenta livelli deboli, i quali sono soggetti a rottura quando vengono ricoperti da altra neve. Il metamorfismo della neve (variazioni di forma dovute al calore e alla pressione) spiega dunque la differenza dei tipi di valanghe in questi climi. Occorre ricordare che le forme dei cristalli si sviluppano in base a processi fisici (non caratteristici del clima) e quindi in qualsiasi catena montuosa si può trovare qualsiasi forma di cristallo.
SCOMPARSA DELLE RAMIFICAZIONI: VARIAZIONI INIZIALI NELLA NEVE FRESCA
Una volta depositati, i cristalli di neve iniziano subito a trasformarsi. In alcuni casi questi cambiamenti iniziali sono la causa diretta del distacco di piccole valanghe. Le mutazioni di forma inoltre determinano il futuro grado di resistenza della neve. I cristalli di neve fresca si sviluppano in un ambiente molto più saturo di vapore acqueo di quello che si riscontra una volta che essi si sono depositati. I valori tipici di supersaturazione nell'atmosfera possono essere piuttosto elevati, mentre all'interno del manto nevoso essi sono solitamente inferiori all'1%. I cristalli di neve fresca sono instabili e quindi avrebbero bisogno dell'ambiente supersaturo dal quale provengono per continuare a crescere nella stessa forma o conservarla. In genere, una volta terminata la crescita atmosferica, un'elevata percentuale del rapporto tra superficie e volume dei cristalli è instabile. Nel manto nevoso i cristalli di neve con il maggiore rapporto superficie/volume (come le dendriti) sono i più instabili e cambiano forma più rapidamente. Teoricamente il minimo rapporto tra superficie e volume dà come risultato una sfera e quindi le particelle di neve pallottolare di forma arrotondata sono molto stabili (durano per un lungo periodo di tempo).

La ragione fisica per cui le intricate ramificazioni dei cristalli di neve spariscono rapidamente sta nell'elevata tensione di vapore presente sulle ramificazioni con curvature molto evidenziate (la tensione varia inversamente al raggio di curvatura della superficie). La tensione di vapore è più forte su una superficie convessa che non su una concava. Quindi le ramificazioni molto curve favoriscono il fenomeno di sublimazione attraverso la perdita di molecole dalla superficie del ghiaccio nell'aria circostante.

La scomparsa iniziale delle ramificazioni per effetto della curvatura non dura a lungo. Un concetto chiave relativo ai cambiamenti di forma della neve asciutta viene illustrato mettendo a confronto le variazioni di tensione di vapore a causa della curvatura con le differenze di tensione nei pori al variare della temperatura (per es. in seguito all'applicazione di un gradiente termico.

Le differenze di tensione dovute agli effetti di curvatura sono minime. Ad esempio, a °C la tensione legata alla curvatura aumenta dello 0,03% circa per ramificazioni di raggio di 10-3 mm rispetto a quella di una superficie piana, e l'incremento è di circa lo 0,1% a -15°C. Al contrario, la tensione di vapore di saturazione (rispetto al ghiaccio) nei pori di un manto nevoso cresce di oltre il 300% con l'incremento della temperatura dell'aria da -15°C a 0°C.

Questo spiega perché sono più le differenze di temperatura nella neve asciutta, legate ai gradienti termici del manto nevoso, a generare il meccanismo del metamorfismo della neve, che non gli effetti di curvatura. Sia la curvatura dei grani che la pressione di sovraccarico dovuta al peso degli strati di neve sovrapposti influiscono sul metamorfismo della neve asciutta in quanto sono sempre fattori agenti .

Le aree più superficiali del manto nevoso sono quelle in cui il gradiente termico è di solito il più alto.

In generale il metamorfismo è influenzato sia dal gradiente di tensione di vapore (legato al gradiente termico del manto nevoso) presente nei pori, sia dagli effetti della curvatura. Tuttavia, il gradiente di solito induce metamorfismo nel manto nevoso, a meno che il raggio di curvatura sulle superfici delle ramificazioni sia inferiore a circa 10-2 mm. Dati sperimentali dimostrano che il tempo impiegato da un cristallo dendritico per decomporsi in una forma arrotondata in laboratorio con condizioni di temperatura costanti è di 10 volte maggiore che non sul campo, dove vi è sempre un gradiente termico

Gli effetti della curvatura sono importanti per il fatto che i punti di ramificazione sono aree preferenziali (alta pressione) per il verificarsi di sublimazione anche in presenza di gradiente termico. Questo processo serve dunque a spiegare l'arrotondamento di forme complesse con un elevato rapporto superficie/volume. In genere però la temperatura e il gradiente termico determinano la velocità di metamorfismo della neve asciutta, sia della neve fresca che della neve che si trova in profondità nel manto nevoso, dopo che si è verificato l'arrotondamento iniziale.

Una volta sparite le ramificazioni, il risultato è una iniziale diminuzione della dimensione media delle particelle. Questo processo è stato chiamato metamorfismo distruttivo. Nel manto nevoso però la dimensione inizia ad aumentare dopo che sono scomparse le ramificazioni. Il fenomeno della sublimazione genera vapore acqueo che incrementa la tensione di vapore nelle vicinanze delle piccole particelle o delle ramificazioni. Una volta che il vapore acqueo si sposta (a causa del gradiente termico del manto nevoso), esso tende a condensarsi in particelle più grandi dove la tensione del vapore acqueo o la densità di vapore sono più basse. Questa sublimazione (meccanismo di condensazione) favorisce la crescita di particelle più grandi a scapito di quelle più piccole. A causa di ciò (e forse del flusso di calore all'interno della struttura), la dimensione media delle particelle diminuisce lentamente in presenza di diverse categorie di dimensioni.

 

 

IL METAMORFISMO DELLA NEVE

 

TEMPERATURE NEL MANTO NEVOSO E GRADIENTI TERMICI

Il manto nevoso è limitato dall'atmosfera e dalla superficie del terreno sottostante. Per le montagne più alte vi sono dei casi in cui il limite sottostante può essere costituito da nevi perenni o anche ghiaccio. Di solito il calore accumulatosi nel terreno in seguito al riscaldamento estivo (il più importante) e il calore geotermico proveniente dal centro della terra si combinano e riscaldano lo strato di base fino a 0°C (o vicino a 0°C). D'inverno la superficie superiore del manto nevoso è soggetta ad aria fredda, ma le temperature della neve sulla superficie variano di molto in funzione dei cicli di riscaldamento e raffreddamento che si verificano di giorno e di notte (escursioni diurne) e delle condizioni sinottiche prevalenti. Solitamente questi effetti si associano per produrre una superficie che è mediamente più fredda degli strati più interni, che rimangono isolati dalle escursioni termiche diurne